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In tema di diffamazione commessa per il tramite di una piattaforma di interazione sociale, nel corso degli ultimi due decenni i Giudici di legittimità hanno radicato nella giurisprudenza della Suprema Corte un indirizzo consolidato – o, meglio, univoco –, alla cui luce le condotte lesive della reputazione altrui, realizzate attraverso un post recante espressioni offensive e pubblicato su Facebook, integrano gli estremi del reato di “diffamazione aggravata”, prevista e disciplinata dal terzo comma dell’art. 595, c.p.

In tale solco interpretativo si colloca la recente sentenza della Corte di Cassazione qui in commento, che, muovendosi nella direzione di ulteriormente rafforzare il precedente orientamento giurisprudenziale, afferma che un post offensivo rientra nell’ambito di applicazione della fattispecie astratta in parola, anche quando l’autore di esso non faccia nomi; ai fini della sussistenza del reato si richiede, tuttavia, che il soggetto passivo di esso sia in ogni caso individuabile, anche solo all’interno di una cerchia ristretta di persone.

Le considerazioni contenute nel documento scaricabile, propongono una lettura in parte critica del suddetto indirizzo interpretativo di legittimità, non prima di aver richiamato la giurisprudenza precedente in materia di diffamazione aggravata a mezzo social e di aver commentato le motivazioni offerte dalla Cassazione nella pronuncia che si annota.

Bibliografia: E. Bruno, Si configura il reato di diffamazione aggravata (art. 595 c. 3 c.p.) a mezzo Facebook (pur) in assenza dell’indicazione dei nomi delle persone offese, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 9



Scarica la sentenza: Cassazione Penale, Sez. V, 25 marzo 2022 (ud. 10 dicembre 2021), n. 10762

Scarica l’articolo commentato: Si configura il reato di diffamazione aggravata a mezzo Facebook anche in assenza dell’indicazione dei nomi delle persone offese.