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L’Ordinanza in commento è rilevante per due ordini di ragioni che in essa vengono affrontati: “il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti” (art. 317 bis Cod. Civ.) e l’ascolto dei minori.

Quanto al primo argomento, la corte non si discosta dall’orientamento degli ultimi anni riconoscendo essa nella norma un diritto affievolito dalla lettura parziale dell’interesse dei minori.

Afferma difatti, la cassazione, che il diritto dei nonni è funzionale all’interesse dei minori (da identificarsi nel preciso vantaggio di una relazione gratificante e soddisfacente non già nell’assenza di ogni pregiudizio) e che, nel caso di specie, la conflittualità della coppia genitoriale, peraltro recrudescente proprio al momento del reinserimento dell’ascendente, consigliava un monitoraggio psicologico della bambina che, da quella conflittualità, era coinvolta.

L’inserimento della nonna era inopportuno anche perché mancava, nella minore, una mentalizzazione dell’ascendente che era assente dalla sua vita sin dal divorzio dei genitori.

Ebbene, pur comprendendo bene le ragioni espresse dalla corte di cassazione, emerge -a chi scrive- l’evidenza: la bambina aveva perso -sin dal divorzio- i contatti con la nonna tanto da non averla “mentalizzata” nella sua vita di relazione ed ora, perdurando la conflittualità tra i genitori esattamente (o più di quanto fosse al tempo del divorzio), non era il caso di inserirla ridondando più i rischi che i vantaggi.

Una autocelebrazione del fallimento del processo affidativo-divorzile che pecca, però, della supponenza elevata a supremo interesse (del minore).

Il processo divorzile-affidativo, con le innumerevoli sfumature di grigio che la sua declinazione pratica assume, è (o dovrebbe essere) una attenta valutazione non già del supremo interesse ma della ponderazione dei migliori interessi che compongono la vita di relazione del minore. Ogni errore, dato -in Italia- per lo più da misure stereotipate (già sanzionate dalla CEDU innumerevoli volte; per tutte: sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 22 aprile 2021 – Ricorso n. 41382/19 – Causa R.B. e M contro l’Italia) comporta conseguenze il più delle volte irreparabili (come la stessa cassazione riconosce: Ord. 643/2023 richiamando, bontà sua, la CEDU).

Nel caso in esame, il diritto che appare compromesso (non esaminato e nemmeno citato) è quello del minore a sviluppare la sua identità sociale e relazionale attraverso le sue origini biologiche (ascendenti): è noto che ognuno di noi si definisce attraverso un processo di auto-riconoscimento in relazione con gli altri. Il fatto, in buona sostanza, che la minore non abbia mentalizzato la figura della nonna è il danno al suo sereno sviluppo non la causa che ne sconsiglia il ripristino della relazione.

Né è possibile individuare elementi positivi (vantaggio di relazione gratificante e soddisfacente) nell’eventuale relazione laddove non c’è relazione.

Quanto al secondo argomento in commento, ossia il diritto dei minori di essere ascoltati, è noto -e fa bene la corte di cassazione a ricordarlo a sé stessa- che è un diritto imprescindibile (per i minori capaci di discernimento) ed ove venisse violato comporterebbe la nullità del processo.

Ma è nella declinazione pratica che i diritti devono trovare applicazione e non solo nei proclami.

Nel caso in esame la minore, afferma la cassazione, giustamente non veniva ascoltata per i rischi di vittimizzazione secondaria.

Nell’esperienza di chi scrive l’ascolto, di per sé, non comporta rischi. Si immagini un bambino che nella vita di tutti i giorni viene costantemente in contatto con la conflittualità genitoriale (come in questo caso) e, in queste condizioni, subisca pressioni, influenze ideologiche, suggestioni. E poi si immagini un setting d’ascolto neutro, con personale qualificato (psicologo, sociologo o magistrato qualificato) in cui il minore può esprimersi lasciandosi sfuggire, dai condizionamenti esterni, qualche informazione sulle proprie ambizioni, desideri, opinioni.

Dica chi legge se i rischi sono dati dall’ascolto o dalla riduzione al silenzio che la pratica giudiziaria attribuisce a quei casi (di elevata conflittualità genitoriale) dove più che in altri, il minore avrebbe diritto di parola (giusta o sbagliata che sia) sulla sua vita.

Si ritiene che l’elevazione di un supremo interesse sia spesso foriero di soppressione dei tanti migliori interessi.

E’ doverosa infine, una chiusa sulla dicotomia tribunale ordinario – tribunale per i minorenni che attribuisce al primo la maggior parte dei processi affidativi tra i genitori ed al secondo -come nel caso in esame- la regolazione delle relazioni con i nonni.

Chi scrive non vede necessità di ripartizione, anzi, pericoli di sovrapposizione e di ritardi nell’assunzione di decisioni uniformi. Non a caso il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (il 17 novembre 2010) sollecitava, tra l’altro, decisioni solerti quando si tratta di procedimenti coinvolgenti i minori.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 10250/2024