Tag: Bigenitorialità

Nella sentenza in commento, che prevede il collocamento -in corso di causa- della prole (al tempo la ragazza era quattordicenne) presso il padre cui veniva assegnata l’abitazione coniugale in ragione di riconosciute capacità genitoriali, si fatica a comprendere le ragioni della mancata ripartizione del mantenimento ordinario della figlia; e ciò, anche nella considerazione della esperienza diretta dello scrivente che, seppur limitata rispetto al volume complessivo delle liti in materia, non è circoscritta al solo tribunale di capitolino, spaziando in diversi tribunali del centro-nord Italia.


Chi scrive, difatti, ha potuto rilevare che, a seguito del collocamento presso il padre a cui, ben inteso, non si perviene mai senza accertamenti impegnativi (per i figli come per i genitori), l’autorità giudiziaria stenti ad applicare il principio di pari responsabilità anche nel mantenimento che, a parere dello scrivente, andrebbe ripartito (anche) secondo il principio della proporzionalità dei guadagni di ognun genitore.
Come noto, l’art. 337 ter IV comma del Codice Civile, difatti, dispone che a mantenere i figli sia “ciascun genitore” sulla base delle esigenze del figlio, del tenore di vita, dei tempi di permanenza, delle risorse economiche di entrambi i genitori, della valenza economica dei compiti di cura.


Nel caso in esame, che ritengo utile alla disamina poiché sbilanciato nei compiti di cura, giacché essi sono del tutto a carico del genitore convivente frequentando, la figlia, l’altro genitore (la mamma) solo un paio di pomeriggi alla settimana per un gelato o una passeggiata assieme, la magistratura romana di fatto addebita il mantenimento ordinario solo al padre (in forma diretta).


La pronuncia sul mantenimento esclusivo a carico del padre non viene motivata in alcun modo e si pone in contrasto, ad esempio, con la ripartizione delle spese straordinarie che, viceversa, pur vedendo uno sbilanciamento nella loro ripartizione (80% al padre, 20% alla madre) comunque riconosce un concorso di entrambi. Sebbene la madre abbia una retribuzione inferiore al padre di almeno 2/3 e compiti di accudimento nulli, non si comprende perché ella non debba mantenere la figlia in tutte le sue necessità quotidiane; neppure in misura minima, o simbolica, neppure in via diretta alla figlia stessa.


Per comprendere la questione giuridica anche sotto il profilo procedurale, parrebbe evidente la minor tutela di cui un figlio gode, se a rappresentare i suoi interessi in giudizio (per sostituzione processuale quale genitore collocatario) sia il padre in luogo della madre. È noto, infatti, che la pronuncia di dazione di assegno quando il collocamento è materno (o direttamente al figlio laddove egli è maggiorenne e ne fa richiesta), è pressocché automatica.


Immagino, poi, il disagio che una tale pronuncia possa indurre in questa figlia che si potrebbe trovare nell’imbarazzo di chiedere qualche spiccio al genitore (durante la sporadica visita pomeridiana) per qualsivoglia necessità concreta.


C’è da auspicare, all’esito del lungo percorso di uguaglianza tra sessi ancora in corso nell’ambito dei processi affidativi, che la magistratura pervenga a maggiore sensibilità verso i diritti dei figli, chiunque sia il genitore collocatario.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica la Sentenza Divorzio n. 15068-2024

La frequentazione paritaria è una scelta residuale (come parrebbe leggendo l’ordinanza in commento) o tendenziale (come afferma la stessa Corte di Cassazione)?

L’ordinanza in commento pone un nuovo tassello nel mare magnum delle pronunce affidative che è degna di nota poiché, a mio parere, confermativa del noto adagio di Tomasi di Lampedusa.

Da una parte, difatti, ribadisce la Corte, che la frequentazione paritaria ha natura “tendenziale senza che ciò possa costituire lesione della bigenitorialità”, dall’altra afferma che siccome il minore all’esame dei Servizi – cui veniva demandato accertamento – stava bene (leggasi: il collocamento materno sta funzionando garantendo al minore il giusto supporto concreto, psicologico, buona educazione e adeguata crescita), l’aumento della frequentazione richiesta dal padre (ed invero accolta dal minore tredicenne) poteva essere solo “cauto”.

L’assunto, apparentemente coerente, espone il limite di non ammettere, sin della fase degli accertamenti dei servizi sociali, alcuna alternativa concettuale al collocamento prevalente (che, come noto, predilige il permanere ad libitum una frequentazione più ampia con l’ambito materno di quanto non sia con quello paterno) limitando così le diverse alternative che, per mera ipotesi, potrebbero essere migliorative.

La pronuncia, quindi, non coglie il senso della doglianza (forse anche perché espressa male): cosa dovrebbe far tendenza al paritario (che ha appunto natura tendenziale) e per quale motivazione concreta il giudice di merito dovrebbe individuare un assetto diverso?

Parrebbe, nel leggere l’ordinanza che la motivazione del giudice di merito confermata dalla Corte, sia la funzionalità dell’assetto prevalente; mancherebbe, tuttavia, una disamina prognostica che escluderebbe il partitario (correlato all’affido condiviso che a detta degli ermellini andrebbe “tendenzialmente” applicato).

Scriveva, ad esegesi della normativa la stessa Corte di Cassazione, nel 2019 (ordinanza n. 28244/19 depositata il 4 novembre): “l’individuazione del genitore affidatario e/o collocatario deve avvenire in base ad “…un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo”, basato su elementi concreti, quali le “…modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore”.

Principio, quello testé enunciato, che non appare smentito da pronunce successive.

Per le ragioni che ho espresso, riterrei più adeguato un apprezzamento completo dei due ambiti (materno e paterno) onde consentire al giudice di merito la valutazione prognostica che gli compete, piuttosto che un accertamento di residualità di ipotesi paritetiche ai soli casi di malessere dei minori in assenza dei quali bisogna essere cauti (o parchi) nel lasciare che figlio e padre stiano di più assieme.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 22083/2024