Uno dei nodi più aspri che si possono verificare, ed in effetti ciò accede assai spesso, è costituito dall’assegnazione della casa familiare ad uno dei due in ragione della conservazione dell’habitat dei figli.
Chi ha letto i miei precedenti, sa bene come l’uso della sola parola habitat costituisca, per me, uno dei preconcetti più fuorvianti; vuoi solo per via del fatto che, in genere, tale parola viene utilizzata per marcare il territorio degli animali e mai per indicare un interesse dei bambini.
Fatto è che dall’applicazione del disposto collocamento prevalente discende, quasi de plano, l’allontanamento del genitore sfavorito perdendo così, quest’ultimo, contatto quotidiano con i figli ed, insieme, il vissuto di anni.
Altro fatto, che generalmente si pone, difatti, è dato dall’investimento emotivo ed economico che gli ormai ex-coniugi hanno profuso per realizzare il sogno di ogni italiano: la casa di proprietà. Si pensi ad un mutuo trentennale, per il lato economico o, come è accaduto in un caso che ho seguito, ad una donazione tra genitori di quota parte o dell’intero della casa.
Nei casi più frequenti l’impegno economico, come accennato, è accompagnato da un investimento emotivo assolutamente essenziale: la cura dell’arredamento, eventi importanti della vita di coppia che nell’appartamento hanno avuto luogo (et cetera et cetera). Insomma, chi lascia casa, non lascia mai solo delle mura o i risparmi di anni ed anni ma un vissuto.
Le modalità e le motivazioni per cui è chiamato a lasciare il suo vissuto non sono mai comprensibili; non fosse altro per la possibilità, assai poco percorsa, dell’affido con collocamento alternato nella medesima da casa familiare da parte di entrambi i coniugi (che salverebbe il diritto dei figli e quello di entrambi i genitori).
V’è da dire, poi, che quei pochi malcapitati che avevano maturato la recisione del vincolo che ogni vissuto impone, decidendo di dividere (o cedere) la propria quota parte dell’immobile familiare al genitore già collocatario dei figli, avevano per di più subito la beffa di vedersi deprezzare il valore del bene (anche loro) anche quando la propria quota di proprietà veniva assegnata al genitore già favorito dall’assegnazione.
Insomma, affermava una parte della giurisprudenza: se cedi la tua quota parte della casa familiare alla tua ex-moglie, il valore della tua quota è deprezzato per via del fatto che, su quell’immobile, c’è il diritto di abitazione del coniuge comproprietario favorito dall’assegnazione della casa coniugale.
È ovvio che tale ragionamento non aveva logica in quanto il coniuge collocatario, proprietario pro quota, già favorito dall’assegnazione della casa coniugale, in caso di trasferimento della quota parte dell’altro non aveva alcun detrimento (se non quello di pagare ciò che non era suo) e non poteva godere anche di uno sconto.
A fare giustizia una recente sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione che, con decisione che si allega, poneva fine al contrasto di pronunce stabilendo che in caso di divisione immobiliare della casa familiare in comproprietà tra ex coniugi, il valore della proprietà debba essere quello venale (commerciale pieno) qualora l’intera proprietà si consolidi in favore del coniuge assegnatario.
Scarica la Sentenza della Cassazione n. 18641/2022 in PDF
E’ giusto che sappiate, ancora, che chi vi scrive è separato, felicemente separato, e che se doveste scegliere di essere assistiti da questo studio legale, avrò cura di impegnarmi nel vostro caso con la stessa astuzia, tenacia e pietas (com-passione e rispetto) che ho avuto nella trattazione del mio.
Cordialmente.